Doverosa premessa: non ho mai scritto di serie tv perché non vedo serie tv. Le ho sempre considerate un impegno troppo gravoso in termini di tempo e attenzione, nonostante sia un mondo che mi affascina da sempre. Ma se uno deve fare uno strappo alla regola, tanto vale farlo per una serie-evento, no?
Ho seguito The Young Pope dall’inizio alla fine, con un misto crescente di curiosità e ammirazione. In un primo momento avevo pensato di scriverne a metà, dopo il quinto episodio; avevo già il titolo (“Mezzo Young Pope”) e avevo buttato giù una serie di appunti. Poi ho temporeggiato e il momento è passato. Ma è successa una cosa curiosa: rileggendo oggi quegli appunti ho scoperto che il mio giudizio sulla serie era già compiuto, e che i successivi cinque episodi non lo hanno modificato.
The Young Pope mi è piaciuto, e parecchio. Più ci penso e più mi convinco che è così. Devo ripeterlo e ripeterlo per crederci davvero, ma sento che è un giudizio che nasce sincero e che io, in fondo, lo sto solo assecondando. Penso davvero che questa serie possa diventare un punto di riferimento per il futuro, un felice incontro tra valori produttivi americani e sensibilità artistica europea (e italiana, nello specifico). E penso davvero che Paolo Sorrentino si sia consacrato come autore a livello mondiale, forse anche più che con la vittoria agli Oscar.
Ma penso anche che le cose che di questa serie mi sono piaciute da morire siano tanto abbaglianti e scintillanti (e furbe?) da coprire quello che non va. Tipo:
- La (non) trama.
C’è una trama in The Young Pope, e ormai la conoscono più o meno tutti. È la storia di un giovane cardinale statunitense che viene inaspettatamente eletto papa, e che invece di un burattino manovrabile si rivela essere un monarca dalle idee forti e reazionarie.
Le prime due puntate (costruite benissimo, in modo che l’inizio della prima faccia da contraltare al finale della seconda) illustrano la situazione di partenza e lanciano una serie di esche per indurre lo spettatore a proseguire la visione. Ma a un certo punto – più o meno a metà serie – mi sono accorto che avevo progressivamente perso interesse nella storia in sé: non mi interessava realmente sapere come andasse a finire. È stato a quel punto che mi sono reso conto che la serie non è altro che una lunga concatenazione di scene, talmente ben costruite che possono vivere di vita propria (ok, quasi tutte: quella sui groenlandesi non ha proprio senso). E che forse, a questo punto, la trama non è neanche così necessaria.
- L’estetica.
The Young Pope è bellissimo da vedere. Movimenti di macchina avvolgenti, geometrie studiate nel dettaglio, scenografie maniacali (le sequenze ambientate nella Cappella Sistina – interamente ricostruita – lasciano a bocca aperta). Ci sono dietro tanti soldi e tanta genialità, e si vedono entrambi.
Il rischio è che si rimanga ammaliati dall’estetica e si lasci in secondo piano tutto il resto. Ma va bene così, credetemi. Va bene così.
- I personaggi.
C’è poi tutto il carrozzone di personaggi sorrentiniani che uno si aspetterebbe di trovare, animati da un cast monumentale. E non parlo tanto dei personaggi principali o ricorrenti – tutti bravissimi, ma Javier Cámara una spanna sopra gli altri – quanto di quelli che hanno una sola scena a disposizione e non sbagliano il colpo.
Si può discutere all’infinito sulle maschere grottesche partorite dalla mente di Sorrentino. È un suo marchio di fabbrica che ormai è stile, e può piacere o meno. Il vero rischio che vedo è che questi personaggi così finemente tratteggiati finiscano prigionieri di se stessi. Quanti di loro evolvono realmente durante la serie? Pensiamoci.
- La musica.
Ormai ho perso il conto delle canzoni che ho scoperto grazie ai film di Sorrentino. A questo elenco sempre più lungo, The Young Pope contribuisce con un mix di tracce di carattere: tra i tanti Levo di Recondite, Nice to Turin di Land Observation e svariati pezzi di Andrew Bird (Pulaski at Night su tutte). Alle canzoni si aggiungono poi le musiche originali di Lele Marchitelli, camaleontiche e bellissime.
Sono fermamente convinto che senza musiche – senza queste musiche, almeno – The Young Pope perderebbe metà del suo fascino. Non a caso tutte le scene più belle – tra tutte il finale del settimo e soprattutto quello dell’ottavo episodio – sono costruite sulla contrapposizione tra immagini e musica. È un modo ruffiano per accaparrarsi le simpatie del pubblico? Può darsi. È un modo intelligente per far emozionare i critici musicali di mezzo mondo? Probabile. È stile? Sicuro.
- Il paratesto.
Un paio di post fa sproloquiavo sui paratesti letterari, ma vogliamo parlare di quelli audiovisivi? Ecco, allora partiamo dalla sigla di The Young Pope, una roba che ricorderemo per anni: una carrellata su Jude Law che cammina in slow motion davanti a un crescendo di opere d’arte, inseguito da una metaforica cometa e accompagnato dalla versione strumentale di (All Along The) Watchover di Devlin, mentre credits al neon compaiono in sovrimpressione. Ciliegina sulla torta: alla fine il buon Jude abbatte la quarta parete e fa l’occhiolino allo spettatore. Solo applausi, davvero.
La sensazione che ho, alla fine della prima stagione di The Young Pope, è di aver assistito a uno spettacolare carrozzone pop. Nel senso buono del termine, si intende. È una serie che si fa guardare per il puro piacere di essere vista: non ci sono veri misteri e la trama mi ha interessato fino a un certo punto, ma è poi davvero così importante? Mi sorprendo ad aspettare la nuova stagione, ma già penso alle scene madri e alle canzoni, non a cosa accadrà a Pio XIII.
Anzi no. Una risposta la pretendo dalla seconda stagione.
Che fine ha fatto Tonino Pettola?
io ho amato The Young pope! aspetto con ansia la seconda stagione, vediamo se sarà all’altezza 🙂
Sarà una bella prova per Sorrentino & co… Chissà se riusciranno a rimanere sugli stessi livelli o se hanno esaurito l’inventiva con questi 10 episodi